L'equivoco e il casino mortale

L'equivoco e il casino mortale

Una curiosa immagine del quartiere Borgo Vecchio di Palermo (Crediti iosonospartaco)

Le esequie scambiate per un bordello

Se esistono luoghi con una maggiore capacità generativa di storie rispetto ad altri, a me viene da pensare subito alla Sicilia, e non solo per diritto di nascita. Potremmo rifarci alla sua deriva nel Mediterraneo, quel suo staccarsi, diventando da laguna (ce lo dicono i fossili) arcipelago; con pazienza questo embrione guarda il mare che evapora e poi, qualche milione di anni dopo, lo stesso mare mare erompe dalle rocce di Gibilterra e risistema gli equilibri: da un lato la Sicilia, dall’altro non l’Italia o l’Europa, ma il mondo. Già, perché i Siciliani, interessante composto alchemico di più popoli (e non mi riferisco ai blanditi conquistatori), da sempre - in aperto contrasto con la realtà delle cose - si sono sentiti padroni del mondo, del loro mondo, s’intende. Con rara capacità di mimesi hanno creato (e continuano a farlo) un universo il cui centro coincide con sè medesimi: non mi riferisco ad esempi tratti dalla letteratura, ma anche al più semplice venditore ambulante che ritiene il mondo incompleto se privato della sua essenza. Lo so, siamo complicati, ma d’altronde i Sofisti ci hanno insegnato i “dissoi logoi” e noi siamo stati eccellenti allievi.

La Sicilia è un catalogo: più ne sono lontana e maggiormente avverto frammenti, profumi, immagini. E’ madre, è patria, confino e scia di nave che ne sottolinea il distacco. Ma soprattutto è teatro, perché i siciliani sono nati per la rappresentazione: che sia familiare o universale, poco importa.

Qui soccorre l’uso icastico del dialetto, la sapiente gestione dei tempi comici e la fulmineità di certe battute. Se parliamo di commedia.

Siamo agli inizi di settembre, il caldo è uguale a quello dei mesi precedenti. Viene a mancare una zia centenaria, i cui figli decidono per un’eutanasia passiva, praticamente condannandola all’inedia. E fin qui tutto è abbastanza regolare.

Le spoglie vengono composte in casa e per delicatezza si socchiudono le persiane, cosicché i vicini potranno al massimo scorgere un tremolio di candele.

Va precisato che il quartiere è un po’ vicino al porto, quindi non uno dei migliori.

Suonano alla porta e in quel momento si trova nei pressi mio padre che, dunque, apre: due sconosciuti, vestiti di velluto, con abiti da cacciatori. In visibile imbarazzo, impacciati.



L'omaggio a una certa Cosimina che viveva a Palermo (Crediti iosonospartaco)


Papà non li riconosce né come parenti o amici e attende che si presentino. I due compari ammiccano e l'unica frase compiuta che uno dei due pronuncia è “Sape, vittimo ‘a luce”, cioè Sa, abbiamo visto la luce.

E lì la loro audacia inchioda, mentre parte a razzo l’intuito di mio padre: i due, vagando per le vie, avevano notato le lucine votive del feretro, che avevano scambiato… per le luci di richiamo di una compiacente casa di ragazze allegre.

A questo punto papà è a un bivio: punirli a vita, presumibilmente facendone degli eunuchi, e portarli in salotto a vedere la quiddità delle luci.

Peggio c’è solo una cosa: portarli in un altro salotto, dove il compianto per la morta è affidato alle coeve cugine Portalone, una larga e bitorzoluta, l’altra secca e con denti un po’ all’infuori, nel contempo dicendo “questa è la quindicina…

Prevale in lui un barlume di compostezza e spiega brevemente che si sono sbagliati di molto.

Chiude la porta e ride fino al giorno dopo. E noi con lui.

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