L'ultima cucchiaiata di Mariano

Antichi cucchiai di legno esposti al museo di Sanok, in Polonia (cr. Przykuta Wikimedia commons)
“Un sorso per chi si è portato via la fame”
A Polizzi Generosa, tra i vicoli dove il vento si impiglia nei balconi e le persiane parlano da sole, viveva un uomo che mangiava sempre con lo stesso cucchiaio. Non era d’argento, né antico, né benedetto. Ma aveva una particolarità: lui lo usava al contrario.
Si chiamava Mariano, ma tutti lo chiamavano “Cucchiara”, con quell’affetto diffidente che solo i paesi sanno dare a chi ha una stranezza precisa. Ogni giorno si sedeva al tavolo del piccolo ristorante di Turi, ordinava la minestra del giorno – lenticchie, ceci, patate o cavolo – e mangiava lentamente, tenendo il cucchiaio con la parte concava verso l’alto, come se volesse raccogliere il cielo.
Quando gli chiedevano perché, rispondeva: “Perché la fame non viene da sotto, ma da sopra. E se ti sazia la terra, dimentichi il cielo”. Ridevano, scuotevano la testa, ma nessuno osava imitarlo. Il cucchiaio restava così, rivolto in alto, come una preghiera che non chiede niente.
L'eremo di San Gandolfo nei pressi di Polizzi Generosa (cr. Carlo Columba Wikimedia commons)
Qualcuno diceva che da giovane era stato in seminario, altri che aveva visto morire un fratello sotto un bombardamento. Lui non smentiva, ma ogni volta che la minestra arrivava calda e fumante, abbassava lo sguardo e diceva: “Grazie per ciò che mi manca”.
Il cucchiaio, dicevano, era stato forgiato a Gangi, da un artigiano che modellava i metalli nei giorni di vento. Si raccontava anche che quella posata, a tenerla in mano abbastanza a lungo, tremasse. Come se sapesse che ogni pasto è anche un addio.
Una volta, un forestiero provò a prenderlo in mano. Mariano glielo lasciò fare. Il giovane lo rigirò e rise: “Ma così non raccoglie niente”.
Mariano allora rispose: “Appunto. A volte raccogliere il niente è l’unico modo per restare vuoti al punto giusto”. Nessuno rise. Neppure il forestiero.
Il ristorante di Turi divenne il teatro muto di quell’attesa senza fine. Mariano non finiva mai la sua minestra. Ne lasciava sempre un cucchiaio sul fondo, come se volesse ricordare qualcosa. Qualcosa che nessuno, tranne lui, aveva il coraggio di nominare.
Un piatto di minestrone (cr. Arnaud 25 Wikimedia commons)
“È per chi non c’è - disse una volta a una ragazza che lo osservava con occhi gonfi - Per quelli che la fame se la sono portata via. Per loro, lascio l’ultimo sorso”.
Lei pianse, ma non si alzò. Da quel giorno venne ogni martedì a sedersi a tre tavoli di distanza. Anche lei iniziò a lasciare un cucchiaio di minestra. Sempre rivolto verso l’alto.
Un giorno il cucchiaio sparì. Era febbraio, pioveva a secchiate, e nessuno vide Mariano entrare. Ma lui arrivò lo stesso. Si sedette come sempre, con le mani vuote e lo sguardo fisso nel piatto. Non toccò il cibo. Poi, prima di andarsene, prese una moneta da cinquecento lire e la posò al centro della tovaglia. Sopra ci disegnò un cucchiaio con la punta del dito bagnato.
“Così nessuno lo userà male”, disse. E uscì.
"Il mangiafagioli" di Annibale Carracci (collezione Pallavicini a Palazzo Colonna Wikimedia commons)
Il giorno dopo, il cucchiaio era lì. Pulito, lucido, rivolto verso il cielo. Nessuno seppe mai chi lo riportò. Da allora, Mariano non mancò un solo giorno. Ogni volta lasciava l’ultima cucchiaiata, come una virgola sospesa prima del silenzio.
Morì una domenica, col cucchiaio tra le dita e la minestra intatta. Il piatto era caldo, il brodo immobile, come se anche il tempo avesse deciso di non disturbarlo. Sul tavolo, un biglietto scritto con la grafia tremolante di chi non deve spiegare più nulla.
“Chi capisce, lascia. Chi ama, solleva”.
Oggi quel cucchiaio è appeso al muro del ristorante di Turi. Alcuni dicono che si muova da solo quando piove. Altri giurano che, se lo guardi abbastanza a lungo, ci vedi il riflesso di chi hai dimenticato.
Ma tutti, quando ordinano la minestra, lasciano l’ultimo sorso.
E senza sapere perché, rivolgono il cucchiaio al cielo.
Come se temessero che, finendola davvero, smettano di ricordare chi sono.
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