La macchia nascosta dei mongoli – Irkutsk

Il mercato all'aperto di Irkutsk, in Siberia (cr. 2016 Piergiorgio Casotti)
Ora legale – Temperatura legale
Prosegue la pubblicazione del diario di viaggio di Piergiorgio Casotti in Mongolia. Il Massimo a cui l'autore fa riferimento è Massimo Zamboni, artista di Cccp e Csi. L’autore, se costretto, potrebbe giurare che i fatti narrati sono andati più o meno così
GIORNO 5-6
Che poi proprio stamattina mi è venuto in mente che da quando siamo partiti da Mosca, circa 3.000 chilometri fa, su tutti i piccoli schermi del treno che informano sull'ora e annunciano a rotazione altre cose scritte in russo, è sempre indicata la stessa temperatura esterna. Cioé fuso orario dopo fuso orario, per tutto il giorno, sembrerebbe di vivere in una cella frigorifera a temperatura controllata. Una “temperatura di Stato”, locale e prevista a destinazione, che appunto coincide sempre a qualsiasi ora del giorno e della notte, ovunque ci si trovi.
Temperatura (indicata sul treno) prevista per Irkustk: 21°
Che poi uno a casa prepara lo zaino a seconda di dove va.
Che poi uno pensa “vado in Siberia”, che solo a pronunciarlo, quel nome, risveglia demoni e paure seppellite ben nel profondo dell’anima. Immagini strazianti di persone che vivono (a volte costretti, ma questa è una china rischiosa da seguire, anche a distanza, e quindi tralascio) in condizioni climatiche così avverse che… meglio la Pianura Padana in fondo.
Che poi uno appunto si prepara.
Case di Irkutsk (crediti 2016 Piergiorgio Casotti)
Che poi uno quando arriva in Siberia (Irkustk è piena Siberia) e il treno segna 21°C e poi ti trovi a 34°C… ti chiedi tante cose sulla natura umana e i processi di condizionamento della mente. Oppure a quanto siano fallaci le capacità scientifiche alle latitudini estreme.
Che poi uno arriva in hotel stanco, molto stanco e ci trova dei cinesi, molti cinesi. E allora la mente corre, galoppa, e uno si dice “sto vivendo un incubo, il mio peggior incubo! Basta mi arrendo! Mi converto, dico tutto ciò che volete! Sono colpevole”. Come in “1984” di Orwell, dove i rivoluzionari venivano torturati usando i loro peggiori incubi. Ecco il mio peggior incubo: vivere in un mondo di cinesi.
Comunque, riuscire a bruciarsi il “coppino” dal sole in Siberia…
Dalla finestra all'ottavo piano dell'albergo si intravedono case di legno con un'architettura siberiana (anche se non so come sia, ma se dovessi darne una definizione direi che è così) mista a quella dei paesi dei balocchi. Molto bella, davvero. Uno stormo di rondini vola allegro nel cielo. Ma le rondini volano in ambienti poco inquinati e qui le nuvole di fumo grigio e marrone che escono dalle marmitte e cristallizzano ad altezza uomo tradiscono una manutenzione carente. Appiccicata alla stessa finestra da cui godo del panorama c’è una targhetta adesiva che invita a “non aprire la finestra” per rinfrescare la stanza ma di usare solo il condizionatore. Evviva!
Ci incamminiamo per la città senza meta e con poche idee di orientamento. Ci viene in aiuto una rassicurante “via Lenin” che percorriamo fino al fondo per poi proseguire a sinistra su “via Karl Marx”. E qui non si può sbagliare. Ai lati delle strade si susseguono, una attaccata all’altra, vecchie case in legno, alcune un po’ storte, con un'estetica particolare ma molto attraenti. Tante di loro sono in “terapia intensiva” e alcune, ahimè, in “rianimazione”. Nessuno qui vuole sciogliere la prognosi che secondo me, e non solo, sarà comunque di morte lenta e inesorabile.
Case e palazzi di Irkutsk (crediti 2016 Piergiorgio Casotti)
Finalmente mi sono detto “questa città mi piace proprio”. La sua decadenza porta in sé una chiara identità e senso di appartenenza. Nessuna vergogna o colpa da cancellare agli occhi della sorella “modernità” espatriata in occidente.
Arriviamo a un grande mercato all'aperto che promette bene. Un crocevia di razze e genti. Kazaki, mongoli, buriati, russi, russi ma con influenze turkmene. Occhi a mandorla, occhi azzurri. Visi rotondi, capelli biondi, capelli neri corvino. Per un attimo mi sono passate davanti agli occhi immagini di alcuni film futuristici. “Strange days”, “Blade runner”, “Nirvana”. Qui, in questo momento, percepisco il “confine” e provo a immaginarmi Panama, Istanbul, Macao e i rispettivi porti agli inizi del ‘900.
Alcune considerazioni sono semplici e immediate: che ormai mi devo spingere sempre più ai limiti del mondo per cercare, e solo a volte trovare, le diversità tra i popoli; che il mestiere dell'esploratore, miei cari, è cosa relegata a musei di provincia della bassa reggiana. Adieu Bruce Chatwin! È stato bello sognare.
Giorno seguente, destinazione isola di Olkhon.
Partenza dall'hotel ore 7.
Mezzo utilizzato Aliscafo più autobus.
Durata viaggio 6 ore e mezza.
La colazione in camera (con cibarie comprate in un piccolo negozio di strada il giorno prima) inizia con un biscotto che per incomprensibili motivi decide di seguire la via del suicidio per annegamento. Io bevo comunque il mio tè, nonostante il cadavere che galleggia in superficie già gonfio.
Sulla via per il porto, guardando i marciapiedi dal finestrino del taxi fermo a un semaforo, di colpo mi rendo conto di una particolare consuetudine dei lavoratori siberiani. Muratori, falegnami, “stradini”, tutti, la mattina, se ne vanno al lavoro brandendo tra le genti che passeggiano i loro attrezzi di lavoro, che nell'ordine mi appaiono come trapani, mazzette, seghe (a mano e circolari), motoseghe e sparachiodi.
Alle spalle, il lago Baikal (crediti 2016 Piergiorgio Casotti)
Porto, ore 8. Imbarco previsto ore 8:30.
Una voce avverte (in russo, e nessuno di noi parla russo) i signori turisti che l'aliscafo ha dei problemi e che si andrà in bus fino alla prima fermata. Come abbiamo fatto a capire? Boh!
Alla prima fermata ci imbarchiamo lentamente sull'aliscafo in fila indiana.
Informazioni sulla sicurezza. L'hostess (in russo) ci istruisce su come prepararsi all'impatto (ancora!).
L'aliscafo approda in una landa deserta e come attracco utilizza una chiatta russa in disuso, ma sicuramente in attività nella prima guerra mondiale.
Durante il tragitto in minibus verso Khuzir, su quella che sembra la strada principale, le innumerevoli buche sulla via sterrata preannunciano un viaggio “diverso”.
L’abbondanza di pezzi d’auto (mascherine, pulegge, gomme con tutto il cerchione) che abilmente schiviamo a tutta velocità fanno rabbrividire, al confronto con la quantità di carcasse di antilopi, kudu e vacche morte durante una siccità africana.
Un’ora di viaggio e siamo arrivati a Milano Marittima. A prestissimo.
Good night… and good luck.
(3 - Continua)
Leggi anche La macchia dei mongoli Prima parte del viaggio
Leggi anche La macchia dei mongoli Seconda parte del viaggio
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