Francesco, che chiamò sorella la morte

La morte di San Francesco nell'affresco di Giotto (Wikimedia commons)
L’ultima strofa del Cantico di frate Sole
Si conclude oggi la ricostruzione della nascita del Cantico di frate Sole, scritto da Francesco d'Assisi 800 anni fa
San Francesco morì la sera del 3 ottobre 1226. Aveva 46 anni e ne erano trascorsi 20 dal giorno in cui davanti al vescovo e ai cittadini di Assisi aveva restituito al padre tutto ciò che aveva, abiti compresi. Poi era partito per un’avventura senza ritorno, sulle orme di Cristo.
Qualche tempo prima della morte, dato che i medici la ritenevano ormai vicina, un frate si assunse l’incarico di informare il santo. Detto frate prende dunque da parte Francesco e lo intrattiene con acconce considerazioni spirituali: tu sei molto importante per i frati e la tua morte li addolorerà, ma per te sarà il passaggio dalla fatica al riposo, dalla sofferenza al gaudio, dalla povertà alla vera ricchezza.
Poi entra nel vivo della situazione e gli dice apertamente: «Padre, sappi in verità che, se il Signore non manda per il tuo corpo la sua medicina dal cielo, la tua malattia è incurabile e poco ti resta da vivere». Alla notizia il frate aggiunge un secondo fervorino spirituale, forse per confortare Francesco o forse per sostenere se stesso in un momento così coinvolgente.
La Predica agli uccelli nell'opera di Giotto (Wikimedia commons)
Di fatto noi possiamo ascoltare la reazione del santo solo alla fine del discorsetto. Sospettiamo del resto che la notizia non l’abbia colto di sorpresa, non era certo uno sprovveduto e il nostro documento (sempre la Compilazione di Assisi) l’ha appena descritto come disfatto dalle malattie.
Francesco reagì da par suo, lodando il Signore con esteriore e interiore letizia. Poi il suo pensiero andò ai compagni più fedeli e affezionati e disse: «Ebbene, se la morte è imminente, chiamatemi frate Angelo e frate Leone...». Vuole congedarsi con calma, ricordare i bei giorni vissuti insieme? Niente di tutto questo. Li chiama «…affinché mi cantino di sorella Morte».
I due frati vennero e cantarono piangendo il Cantico di frate Sole che lui aveva loro insegnato. Il santo sentì che aveva ancora qualcosa di cui lodare e benedire il Signore, qualcosa che non aveva finora espresso. Così decise di aggiungere un’ultima strofa al Cantico e disse: Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati, ka la morte secunda no’l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate e serviateli cum grande humilitate.
La basilica di San Francesco ad Assisi (cr. Terragio67 Wikimedia commons)
Il resoconto che abbiamo si conclude qui, non riferisce le risonanze di tale canto sui frati e sui presenti e passa subito ad altro. Noi invece vorremmo fermarci a riflettere su queste parole di Francesco. Sono parole di lode, destinate al canto. Parole di lode rivolte a Dio, non certo alla morte. Però questa è accolta nella vita, sorella come tutte le altre creature ugualmente accolte dal santo. L’atteggiamento di Francesco si potrebbe esprimere così: lo so, morte, che mi vieni incontro terribile, ma io stendo la mano e ti offro la mia amicizia, come ho fatto con il lupo di Gubbio, e ti abbraccio.
Credo sia stato questo “sporgersi” di Francesco verso la nemica numero uno a fargliela scoprire sorella, al servizio del Signore proprio come lui.
Se si parla di amore alla vita, alle persone, al creato noi ci sentiamo in sintonia con san Francesco, perché vive qualcosa che vorremmo vivere. Ma quando chiama sorella la morte senza nasconderne la crudezza (e anche senza morbosa attrattiva), ebbene, questo ci supera e perdiamo il contatto.
Il Cantico composto da Francesco d'Assisi (Wikimedia commons)
Il nemico vero per lui è il peccato, cioè il fallimento finale, un’esistenza che s’incurva su se stessa, quella che chiama la morte secunda. Francesco sceglie la vita, sempre, come ha fatto Gesù, e morendo lascia dietro sé una scia di benedizione per i fratelli e le sorelle che l’hanno incontrato.
Fra questi mi è caro ricordare i sunnominati frate Angelo e frate Leone che, insieme a frate Rufino, hanno steso un resoconto prezioso e congedarmi con le loro parole:
Il sabato sera, dopo i vespri, prima che cadesse la notte, il beato Francesco migrò al Signore, e uno stormo di allodole (uccelli da lui particolarmente amati) prese a volare a bassa quota sopra il tetto della casa dove giaceva il beato Francesco, e volando ruotavano in cerchio e cantavano. Noi che siamo stati con lui e che di lui abbiamo scritto queste cose, rendiamo testimonianza.
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