La macchia nascosta dei mongoli – Ulan Bator

Treno mongolo-cinese (cr. 2016 Piergiorgio Casotti)
Finalmente il confine
Si conclude la pubblicazione del diario di viaggio di Piergiorgio Casotti in Mongolia. Il Massimo a cui l'autore fa riferimento è Massimo Zamboni, artista di Cccp e Csi. L’autore, se costretto, potrebbe giurare che i fatti narrati sono andati più o meno così
Giorni 9-10
Tornati a Irkustk, l'ultima notte sarebbe stata da leoni e ci imbuchiamo in un pub russo. È venerdì sera (ma non ne eravamo coscienti).
Appena finito di cenare veniamo avvicinati da un paio di ragazzi russi coi quali iniziamo alcune chiacchiere, tante chiacchiere. Il paio di ragazzi diventano alcuni ragazzi e scopriamo che oggi in Russia si festeggia il giorno del “costruttore” (e qui, stasera, c'è una bella presenza di “costruttori”).
Uno in particolare, bello brillo ma simpatico, prova a spiegarci che altra attività faccia nella vita (oltre al costruttore) e per spiegarlo, visto che non parla inglese, esegue genuflessioni con semi-spaccate nel bel mezzo della sala. Dopo una decina di inginocchiamenti, braccia alzate e saluti al sole, capiamo che fa il sollevatore di pesi. In effetti la stazza doveva farcelo intuire fin da subito. Massimo gli è particolarmente simpatico e scoperta la nostra italianità gli “chiede” gentilmente, come può esserlo solo un sollevatore di pesi russo brillo, di bere insieme all'amicizia tra i popoli italiano e russo (non i tedeschi ci dice… e neanche i francesi a pensarci). Il brindisi consiste in un imbarazzante incrocio di gomiti e braccia (per i neofiti vedi brindisi da matrimonio) e nella bevuta all'alpina di un bicchierone di liquido scuro rivelatosi poi whisky con un po’ di Coca-Cola. Con abile maestria Massimo riesce a convincerlo che già un quarto di bicchiere può sancire una più che sufficiente amicizia tra i popoli.
Sotto gli occhi della figlia che gli dice “papà sei il mio mito” Massimo decide per la ritirata. Il sollevatore russo ci saluta con un bacio e con un gesto della mano che batte un paio di volte sul suo tenero cuore per poi lieve disegnarne un altro nell'aria. Infine ci rinfranca con “Italia, Toto Cutugno, our national hero”.
Ci incamminiamo mestamente verso l'hotel attraverso la solita rassicurante via Lenin.
Indomani
Treno per Ulan Bator, Mongolia.
All'arrivo alla stazione tutto ringalluzzito dalla notte brava, i miei alti spiriti vengono immediatamente soffocati alla vista del treno “gestito” da omini bassi avvolti da una divisa molliccia di due taglie più grande, sgangherati come solo i cinesi possono apparire. Infatti sono cinesi.
Una immagine di Ulan Bator (cr. 2016 Piergiorgio Casotti)
La confortante e soprattutto benefica aria condizionata del treno russo è sostituita da un ventilatore di plastica di ovvie origini attaccato al finestrino. La luce dello scompartimento produce forse 20 Watt e le copertine dei letti hanno un merletto, che poi ecco perché i cinesi a me…
Sono sufficienti pochi minuti per distogliermi da immagini mentali di notti infernali, con me appiccicato al finestrino spalancato per sopravvivere alla calura siberiana (sì perché ricordo a tutti che in Siberia NON c'è freddo… d'estate).
Una voce evidentemente italiana entra come vento di primavera nello scompartimento. La cadenza milanese mi smuove da sempre qualcosa nel profondo. L'orecchio si tende immediatamente e con ragione.
Voce giovane maschile: “Hai l'occhiale da sole uscito 15 anni fa”.
Voce non giovane maschile: “Beh perché?”.
Voce giovane maschile: “Non sono neanche polarizzati? Adesso è un MUST, uè!”.
Padre con polo Ralph (e poi non so scrivere il cognome) con rigoroso colletto sollevato. Figlio con sneaker, jeans, polo e giacca elegante grigia “yuppies”. Mi vergogno un po’, ma almeno è un intrattenimento.
Ora di cena. Decidiamo di aspettare per far diminuire il flusso di gente che inspiegabilmente se ne va verso il vagone ristorante a un’ora insolita, sono le 17.30. Alle 18.30 in preda a crampi andiamo pure noi. Vagone ristorante pieno. Cameriera russa, sola e un po’ in là con gli anni, corre per il corridoio con piatti vari (e nel frattempo deve pure tenere a bada cinque crucchi dietro il mio sedile che cantano allegri). Arriva la cena. Mangiamo. Abbiamo ancora fame ma pochi soldi. Massimo si avventa con navigata maestria su cinque fette di pane lasciate nel cestino dai passeggeri del tavolo a fianco. Arriva il conto. La cameriera russa, che non parla inglese, ci fa fretta e ci dice (a gesti ovvio) quattro minuti, quattro minuti. Guardiamo il conto ed è pure sbagliato. Facciamo presente. Panico della cameriera russa che continua a “dirci” quattro minuti (ora tre minuti). Sudore della cameriera russa che proprio non ne vuole sapere di seguire i nostri conti (tra l'altro ci ha presentato un conto di 4.900 rubli e noi ne abbiamo solo 4.200) e con una parola sconosciuta ma intuibile accetta di prendere i nostri 4.200 + 10 euro di carta. Suda sempre più e ci spinge fuori, quasi fisicamente, noi e tutti quelli della carrozza.
In piazza a Ulan Bator (cr. 2016 Piergiorgio Casotti)
Tre minuti dopo. Frontiera Russo-Mongola, lato russo. Osserviamo l'ultima carrozza del treno, la carrozza ristorante, staccarsi dal treno e allontanarsi verso l'ignoto. Abbiamo capito il sudore sulla fronte della cameriera russa.
Dogana Russa. 2 ore.
Treno riparte. 3 minuti. Treno si ferma.
Dogana Mongola. 2 ore.
Arriviamo a Ulan Bator dove ad aspettarci non c'è nessuno.
Quasi sopraffatti dalla sensazione della disfatta un ragazzino sale i pochi scalini dell'entrata della stazione con un foglio A4 con scritto “Ciò che deve accadere accade”.
È il nostro uomo.
Sull'altopiano mongolo (cr. 2016 Piergiorgio Casotti)
Facciamo una passeggiata per il centro andando alla piazza principale di Ulan Bator, quella con la statuta di Marco Polo. Sulla via del ritorno passiamo davanti ad un ristorante di nome “Broadway”. Sulla porta ecco la famiglia milanese… “Broadway o non sei nessuno”.
Al ristorante cinese ci viene in mente un altro spot per il Parmigiano Reggiano. Titolo “Shamano Parmigiano”.
In Mongolia non si scrive più in mongolo, ma in russo, per comodità. Qualcuno ci dice che è troppo difficile da scrivere usando i telefonini… meglio il russo. Si trovano solo poche tracce della grafia e dell'idioma mongolo. In compenso dalla finestra dell'albergo vedo uno stabile in fase di completamento con un insegna che mi fa rabbrividire ma, allo stesso tempo, prendere coscienza pragmatica del mondo e del nostro futuro. “American center for Mongolian studies”. Di solito è il primo passo per la colonizzazione culturale e storica, tipica yankee.
Negozi di gioielli maestosi, spaventosi.
L'acqua calda a Ulan Bator è disponibile solo dalle 6 alle 8 del mattino, per legge. Noi siamo arrivati alle 8.45
Il resto della storia, soprattutto quale macchia tengono nascosta i mongoli, non è poi così importante.
Good night … and good luck.
(5 - Fine)
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